I libri

“La via della memoria - il Sublacense dalla guerra alla repubblica” di Giulio Rossi
(Ed. comune di Cervara di Roma – c/o ITER edizioni – Subiaco, 2012)


“Elogio della radicalità” di Piero Bevilacqua (Ed. GLF Laterza, Bari 2012)

 
 
 

Recensione sul libro di Giulio Rossi
“LA VIA DELLA MEMORIA- IL SUBLACENSE DALLA GUERRA ALLA REPUBBLICA”

Associazione culturale VIAE –Valle dell’Aniene -ED. COMUNE DI CERVARA DI ROMA –c/o ITER EDIZIONI
–Subiaco, 2012, pagg.73, con 8 tabelle statistiche allegate, s.i.p.

di G. C.

Giulio Rossi ci dà un libro di quelli che sono apprezzati dal pubblico e dagli storici di professione, perché sono una tessera affidabile di un mosaico più ampio, nazionale. La prefazione è scritta, appunto, dal Prof. Antonio Parisella, docente di storia contemporanea, presidente del Museo della Liberazione di Via Tasso.

L’Autore ha ricostruito la storia sociale e politico-elettorale degli anni della guerra, dell’immediato dopoguerra, della Ricostruzione e della ripresa della vita politica nel Sublacense.

I capitoli.
“ Il Sublacense prima della seconda guerra mondiale”- Si tratta della sociologia della vita dei braccianti,contadini, ancora dominati da “patti agrari” abnormi e dai “caporali”, che li sfruttavano senza scrupoli nei lavori stagionali nella Campagna Romana, per conto dei proprietari “agrari” assenteisti. Questa analisi mette in luce le prime occupazioni abusive di terre nell’Agro Romano, i contrasti con la Polizia, fino alla distribuzione di terre ai nostri contadini da parte dell’Ente Maremma, in attuazione della Riforma Agraria,nell’ex latifondo Torlonia di Cerveteri.Una pagina che mette a nudo la povertà dei nostri braccianti agricoli, la loro capacità di adattamento al nuovo ambiente, alle Cooperative fra assegnatari, all’uso di macchine agricole e alla conduzione di stalle razionali per l’allevamento bovino.

Un settore produttivo a parte era l’industria boschiva per la produzione di legname per uso industriale e di carbone vegetale. Erano poverissimi, al punto di invidiare i coltivatori diretti, i mulattieri e, ovviamente, gli artigiani (“artisti”). Oltre al lavoro nelle “carbonère” in montagna, furono impegnati nell’Agro Pontino per il disboscamento e lo sradicamento degli alberi indesiderati. Nelle nostre montagne sapevano dominare il fuoco per ottenere il carbone. Nei lavori di sradicamento di grandi tronchi, impararono a usare accetta e sega, ma anche gli esplosivi.

A Subiaco non sopravvisse alla guerra l’Isola degli Opifici, con le sue botteghe di manifattura di tele e ceramica, se non la Cartiera Crespi, ricostruita dopo i bombardamenti , da operari mal pagati ma fedeli al loro lavoro specializzato. La Cartiera non c’è più come non c’è più, nella tradizione affilana del fondatore Don Giovanni Rossi, la “Cassa rurale di Affile”, legittima difesa contro l’usura, che si praticava apertamente col nome di “banchetta”. Altra nicchia di difesa erano, in un certo modo, la famiglia allargata, il vicinato, le Confraternite, le feste patronali, i “compari”.

I partiti democratici risorti nel dopoguerra sono un tema importante del libro di Giulio Rossi. Socialisti, Repubblicani e Comunisti sono bersaglio della polemica clericale del tempo. Ma intanto, finalmente, ai Podestà succedono i Sindaci proposti dal CNL e poi liberamente eletti.

Il Sublacense durante la 2^ guerra mondiale.
Qui più che la cronaca degli avvenimenti dolorosi locali, si ricostruisce il quadro bellico del quadrante a Est di Roma: le installazioni della linea tedesca per rallentare la ritirata dal fronte di Cassino, i bombardamenti, le piccole azioni di Resistenza all’occupazione nazi-fascista e il doloroso contenimento della rabbia degli ultimi gustatori SS disperati, dediti alle violenze, ruberie, rastrellamenti, uccisioni, rappresaglie.

Giulio Rossi ci porta nei luoghi e nelle circostanze di questi episodi sanguinosi, parte della più ampia Resistenza.

Il Sublacense dopo la 2^ guerra mondiale.
Arrivano i liberatori Alleati e le prime distribuzioni di pasti e vestiario alle popolazioni stremate, ma già impegnate a Subiaco nella rimozione delle macerie e nella ricostruzione. Giulio Rossi ci racconta questi fatti con il rigore dei documenti storici e con la partecipazione del cittadino linero : dalla caduta del fascismo alla rinascita democratica. E’ ciò che gli sta a cuore. La fame e la “carta annonaria”, l’ammasso delle granaglie, sono raccontate con efficacia documentaria. Le Parrocchie e l’Abbazia di Subiaco ebbero una parte importante come riferimento per la popolazione, impoverita e impaurita. Rinascono, tra la diffidenza, i partiti politici: Partito Socialista, Partito Repubblicano, la Democrazia Cristiana… Intanto nel 1946 la forma repubblicana dello Stato si era affermata. Nel Sublacense spesso le mogli votarono Monarchia e i mariti Repubblica. Il Clero era per la Monarchia. Le elezioni politiche del 18 aprile 1948 sancirono il predominio democristiano, con l’azione dei Comitati Civici. E così fino al 1953, con la parentesi repubblicana e di sinistra rappresentata, a Subiaco, dalla vittoria della Lista di sinistra”Vanga e Stella”. che portò Cesare Crespi, un industriale, nella poltrona di Sindaco di Subiaco.

Appendice.
Mette in luce le qualità di ricercatore di Giulio Rossi, non per nulla addottorato in sociologia: sui censimenti dei Comuni del Comprensorio, i Sindaci prima e dopo il Fascismo ( con la parentesi dei Podestà), gli esiti del referendum istituzionale e del “fatidico” 18 aprile. Ci pare di capire che nell’intento di Giulio Rossi, questo suo lavoro adempia il compito di ricordare, situare gli avvenimenti locali nelle loro concause sociali e nazionali. Il “passato è un prologo”, per non dimenticare e tendere alla consapevolezza, all’impegno nella “via della memoria”, verso il futuro.

 
 
 

Alla radice dell’uomo

di Angelo Moreschini

E’ PIÙ FACILE CHE CESSI IL MONDO O CHE CAMBI IL MODO DI VIVERE IL MONDO? Il saggio di Bevilacqua, corredato da una vasta bibliografia, illumina le attuali dinamiche politico economiche in una prospettiva storica che svela il percorso a ritroso che l’umanità sta compiendo e indica la via per progettare un nuovo “percorso solidale” che restituisca un futuro al pianeta e salvi la democrazia dall’inerzia del “pensiero unico”.

“Elogio della radicalità” di Piero Bevilacqua (Ed. GLF Laterza, Bari 2012) mostra con chiarezza come il capitalismo ottocentesco sia evoluto, dall’ultimo quarto del novecento in poi, in un subdolo totalitarismo che di fatto ha sostituito la democrazia, ha conquistato la politica svuotandola di potere ed è oggi al governo degli stati nel mondo globalizzato. Un mondo in rovina.

I guardiani di questa deriva sono i cosiddetti “politici moderati”, i quali in Italia e nel mondo dai Bush ai Berlusconi, dai Merkel ai Monti, vantano il rispetto dell’ordine esistente, il perpetuarsi del “conformismo ideologico” alla base della cultura neoliberista. Un conformismo che è entrato nella quotidianità dell’esistenza di ciascuno di noi, scandisce il ritmo dei nostri atti, dei nostri pensieri. Il “pensiero unico” appunto, per il quale il manifestarsi di fenomeni economici, sociali e ambientali obiettivamente estremi è considerato la normalità. E’ normale il crescente sfruttamento dei lavoratori, che cancella due secoli di conquiste civili; è normale la spinta al consumismo sfrenato, che divora risorse ambientali non più rigenerabili; è normale la fame per milioni di bambini; è normale il cambiamento climatico, tra uragani e siccità mai visti; è normale la finanza che crea soldi dai soldi a prescindere dall’economia reale e le cui speculazioni manomettono la sovranità degli stati. La normalità dei moderati, che ha portato all’inerzia della democrazia, alla fine della politica.

La prospettiva storica è necessaria per capire l’origine della penetrazione del capitale nel tessuto vivente della realtà. Esso in nome della libertà dell’individuo, dell’invadenza dello Stato e della burocrazia ha formulato rigide norme tecniche che hanno trasformato l’economia da scienza sociale a tecnologia della crescita economica. I Tassi lo Spread e l’isteria della Borsa altro non sono che gli effetti della globalizzazione, dopo che il governo dei potenti ha deregolamentato e delocalizzato la produzione nelle società industriali. Economisti e banchieri, con la politica a servizio, sono come meccanici che tentano strenuamente di stringere i bulloni di una macchina che ormai cade a pezzi.

E’ la fine della potenza produttiva del capitalismo, che pure nel novecento aveva consentito la liberazione di masse sterminate di lavoratori dalla fatica e dallo sfruttamento d’un tempo, con l’avanzamento delle condizioni di vita di milioni di lavoratori. Ma “più la produzione capitalistica si sviluppa, più tutti gli ingredienti della produzione entrano sotto forma di merci nel suo processo”. Il sapere è diventato una merce. La musica non rende? via dall’insegnamento scolastico. Anche gli uomini, gli intellettuali, i professori universitari sono diventati “ingredienti della produzione”. Così tutto si va dissolvendo: la libertà individuale si trasforma in individualismo che gela le relazioni sociali, la proprietà privata si trasforma in un assalto ai beni comuni, il consumismo di massa si trasforma in servitù organizzata allo spreco ed al dissipamento di risorse sempre più scarse.

“Essere radicale significa cogliere le cose dalla radice! E la radice per gli uomini è l’uomo stesso”. Sosteneva Marx. Oggi serve radicalità e volgere lo sguardo in profondità nei meccanismi che costituiscono la crisi sociale ed economica che viviamo. Altro che estremo e violento, ribelle e inconcludente! Anche se ormai ridotto alla marginalità istituzionale, il “pensiero radicale” vive, almeno a partire dal 1999 a Seattle, nel “Movimento” di opposizione al governo “moderato” del mondo, ed è impegnato a rivendicare la diminuzione dei conflitti, lo stop al saccheggio del pianeta, l’equa ripartizione del benessere e maggiore solidarietà. Il pensiero radicale vive nei movimenti di resistenza alla costruzione di grandi opere pubbliche e alla privatizzazione della gestione dei servizi sociali, due linee strategiche su cui si è saldata l’alleanza tra potere economico e politica.

Comun denominatore tra movimenti e beni comuni, tra soggetto e oggetto del cambiamento, è l’universalità rappresentata dall’Ecologia, la nuova scienza capace di uno sguardo d’insieme che spiega come la nostra vita dipenda dai beni comuni globali.
Ma la forza del cambiamento non è illimitata. Le lotte che si vanno svolgendo nel mondo contro le politiche di rigore regressive, le lotte contro le grandi opere pubbliche e la svendita del territorio devono evitare l’esaurimento per stanchezza o la degenerazione in violenza e ricercare una rappresentazione stabile nelle istituzioni. Questo perché a lungo andare la forza delle grandi corporation non viene meno, mentre la necessità del reddito che costringe a scegliere tra lavoro e salute, tra lavoro e diritti, potrebbe respingere il cittadino attivo verso l’inerzia e i movimenti a rifluire nella “gabbia d’acciaio” della moderata normalità neoliberista.

 
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