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QUATTRO NOVEMBRE, FESTA DELL’UNITÀ NAZIONALE

di Giuseppe Salinetti

Una preghiera ai caduti, una pagina di storia, una lezione di diritto. C’è tutto questo insieme a tanto sentimento nelle parole che il nostro sindaco ha pronunciato lunedì 1 novembre in occasione della commemorazione dei defunti davanti al tempietto dei Collicelli.

Siamo venuti qui al tempio di San Michele a deporre una corona d’alloro per ricordare e onorare i Caduti di tutte le guerre ed in particolare le decine di nostri Concittadini morti nelle guerre del secolo scorso.
Nella lapide che c’è dentro il tempietto sono incisi il cognome, il nome e la guerra con la data in cui ciascun soldato è morto.
Purtroppo in questa lapide non sono riportati tutti i castellani morti in guerra. Massimo Salvatori, sergente dell’esercito italiano ora in pensione, a seguito di approfondite ricerche in vari archivi storici, ha pubblicato un Albo d’oro dei militari caduti nelle guerre che vanno dall’Unità d’Italia alla 2^ guerra mondiale, nativi o residenti a Castel Madama. L’Albo è nel sito web del Comune e può essere consultato.
Dalla meticolosa e lodevole ricerca di Massimo Salvatori risulta che sono 110 i soldati castellani uccisi nelle guerre dalla fine dell’Ottocento a oggi.

• 1^campagna d'Africa orientale, 1896, 1 morto
• guerra di Libia, 1911, 2 morti
• guerra di Serbia del 1914, 1 morto
• 1^ guerra mondiale, 65 (di cui 64 soldati semplici e 1 carabiniere)
• 2^campagna d'Africa orientale, 1936, 1 morto
• 2^ guerra mondiale, 41 (di cui 1 sottotenente, 39 soldati semplici e 1 carabiniere), morti in Albania, Croazia, Russia, Grecia, Francia, Italia, Germania, Libia, Tunisia.
Da questa lista mancano i civili morti, uccisi nei bombardamenti o nelle rappresaglie, come i tre concittadini trucidati a Colle Siccu.

Il primo militare ricordato, più lontano nel tempo, è il tenente Ettore Vulpiani, la cui mamma come sapete era una Cottarelli di Castel Madama e il cui fratello, Oreste, fu l’ultimo proprietario del Castello Orsini, che alla sua morte donò al Comune.
Ettore Vulpiani morì il 1° marzo 1896 ad Adua in Eritrea nella campagna d'Africa orientale contro l’etiopia di Menelik, una delle guerre coloniali che gli stati dell’Europa condussero in Africa per impossessarsi di terre ricche di risorse naturali.

Perché non ci sono altri monumenti, altre liste di caduti prima del 1896? Sicuramente ci sono stati castellani morti nelle guerre precedenti. Ma allora la morte e il lutto erano un fatto privato, familiare.
L’esigenza di ricordare pubblicamente i caduti in guerra in tutti i paesi e città d’Italia con monumenti e giardini, i famosi Parchi della Rimembranza, nasce dopo la prima guerra mondiale. La stessa giornata di oggi è il 92° anniversario del 4 novembre 1918, il giorno della firma dell’armistizio tra Italia e Austria che pose fine alla prima grande guerra mondiale.
Una guerra orribile, una guerra di trincea nella quale morirono, soltanto in Italia, 600 mila soldati, quasi tutti della fanteria, quasi tutti contadini, come i nostri 61 concittadini che vi persero la vita.
I nostri nonni non parlavano quasi mai di quella guerra, non ne volevano parlare per non far riemergere alla coscienza gli stenti, la paura, l’orrore, i ricordi tristi e struggenti vissuti in quegli anni, in quelle trincee al freddo, alla pioggia, alla neve.

Quindi, l’esigenza di ricordare pubblicamente i morti caduti in guerra, voleva essere innanzitutto un monito: ricordare le atrocità della guerra per bandirla dalle coscienze di tutte le generazioni d’italiani.

Ma ci fu un’altra motivazione: quella di celebrare i caduti come eroi della patria, morti per l’unità dell’Italia, per salvaguardare i confini della Nazione, anzi per estenderli verso l’Alto Adige, più precisamente sud Tirolo, e verso la Slovenia e la Croazia.

Ci fu una strumentalizzazione della morte di tanti contadini caduti in guerra, al fine di sostenere l’ideologia nazionalista, basata su un concetto di patria, che non è quello odierno di stato al servizio dei cittadini, ma quello nazionalistico, xenofobo e autoritario di patria come territorio assegnato in modo esclusivo a un popolo, considerato tale perché unito da vincoli di sangue e perché sottomesso nel servire il proprio re.
E infatti l’esaltazione della patria, considerata a questo modo, fu incubatrice dei totalitarismi del ‘900, dei fascismi in Italia Germania Spagna Ungheria Romania e dello stalinismo in Russia che portarono nel 1939 ad una nuova guerra mondiale.

Vivendo l’esperienza tragica della guerra e della Resistenza, gli italiani riscoprirono non solo la libertà, la democrazia, la giustizia, ma anche – come ha ricordato recentemente il Presidente Giorgio Napolitano, citando Benedetto Croce – “la patria, l'amore della patria, l'amore, per noi italiani, dell'Italia”. “Con la Resistenza – sono ancora parole del nostro Presidente - di fronte alla brutalità offensiva e feroce dell'occupazione nazista, rinacque proprio l'amore, il senso della patria, il più antico e genuino sentimento nazionale. "Le parole 'patria' e 'Italia' - scrisse Natalia Ginzburg - che erano divenute "gonfie di vuoto", "ci apparvero d'un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta." E Carlo Azeglio Ciampi ha più volte ricordato che nel momento del "collasso dello Stato" nel settembre '43, lui e tanti altri giovani "trovarono nelle loro coscienze l'orientamento" a resistere, perché in esse "vibrava profondo il senso della Patria".

Fu proprio l'ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, a ridare valore alla festa del 4 novembre, che dal 1977 era stata declassata a “festa mobile”. E la rilanciò come Festa dell’Unità nazionale e Giornata delle forze armate, per ricordare gli italiani caduti per la nostra libertà, per l'edificazione di uno Stato democratico, per la salvaguardia della pace tra i popoli.
Ciampi sottolineava che "Il nostro europeismo non nega, anzi presuppone, l'amor di patria. Il nostro Risorgimento, ispirato a ideali di fraternità fra tutte le nazioni, libere e indipendenti, ci ha trasmesso - insieme con la ritrovata coscienza dell'unità nazionale - una ricca eredità di ideali europeisti”.

Il prossimo anno, il 17 marzo 2011, si festeggeranno i 150 anni dall’Unità d’Italia. Ritengo che sia una ricorrenza importante che deve spingerci a riflettere sulla nostra storia e identità nazionale che secondo l’85% degli italiani è frutto soprattutto di tre eventi: il Rinascimento, il Risorgimento e la Resistenza; e sul valore che hanno oggi, nell’epoca della globalizzazione, i valori di Patria, di Unità nazionale, di tricolore.
Per molti italiani non è facile parlare di questi concetti, perché per tanti anni essi sono stati strumentalizzati da una parte politica. Ha detto il Presidente Giorgio Napolitano: “La ripugnanza sempre crescente contro il nazionalismo si è tirata dietro una sorta di esitazione e di ritrosia a parlare di 'patria' e di 'amor di patria'. Ma se ne deve riparlare, e l'amor della patria deve tornare in onore appunto contro il cinico e stolido nazionalismo, perché esso non è affine al nazionalismo, ma il suo contrario".

Come non ricordare, ad esempio, che il nostro tricolore, è nato nel 1797, durante la rivoluzione francese, per rappresentare un paese, una comunità-nazione fondata sui principi di uguaglianza, legalità, fratellanza, in contrapposizione agli stendardi delle famiglie nobili, cioè ai secoli del feudalesimo e della disuguaglianza dei diritti delle persone? Non per niente la nostra Costituzione del 1948 ribadisce all’articolo 5 che la Repubblica è “una e indivisibile” e all’articolo 12 che “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso a tre bande verticali di uguali dimensioni”, proprio a ribadire che i valori di uguaglianza, fraternità e legalità trovano la loro sintesi visiva e simbolica nel tricolore verde, bianco e rosso.

La Festa dell’unità nazionale non è più, e non deve mai più essere, una festa di una patria contro altre patrie, ma la festa di un popolo libero e unito, che si stringe attorno alle istituzioni democratiche nel ricordare i suoi caduti, che rispetta gli altri popoli verso i quali ha sentimenti di amicizia e di fratellanza.
La festa di uno Stato-nazione, l’Italia, che, come dice l’art. 11 della nostra Costituzione: “…ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Invece ancora oggi tante guerre insanguinano la terra, guerre lontane da noi, eppure vicine.
Ad alcune partecipiamo anche noi, ad esempio in Afghanistan, per combattere il terrorismo islamico, per portare la pace in un paese in guerra da 30 anni.
Eppure il terrorismo continua a operare, la pace non arriva mai, invece continuano le uccisioni, anche dei nostri soldati, anzi sono sempre più frequenti, da ultimo il 9 ottobre scorso i 4 alpini, portando a 34 il numero dei soldati italiani caduti in Afghanistan.
Forse ci dovremmo interrogare di più se è questo il modo giusto di sconfiggere il terrorismo e di portare la pace.

Non sarebbe meglio operare una più giusta distribuzione delle risorse e della ricchezza nel mondo, che elimini la fame e la povertà?
Non sarebbe meglio avere uno scambio culturale e religioso maggiore, sforzarsi a comprendersi invece che a respingersi e a odiarsi?
Non sarebbe meglio costruire la pace con strumenti nonviolenti, il confronto, il dialogo, come dice la nostra Costituzione?

Inoltre il 4 novembre è il giorno della festa per le Forze Armate, per soldati, marinai, avieri e carabinieri d'Italia.
Un saluto e un ringraziamento a voi che, con la sospensione del servizio obbligatorio di leva, avete volontariamente e liberamente scelto di servire in armi la Repubblica, di salvaguardare le libere istituzioni e realizzare la pace e la sicurezza dei cittadini.

Per concludere penso che tutti noi, di fronte ai nostri caduti, di fronte a tutte le persone che hanno perso la vita nelle guerre, abbiamo il dovere di impegnarci per trovare modi nuovi di superare le difficoltà e i conflitti, preservando la vita umana.

Al ricordo e alla pietà per chi è morto, uniamo questo impegno per un mondo senza più guerre.

 
 
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