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Il restauro dello stendardo della Confraternita del SS.mo Sacramento è terminato e la tela è stata custodita in una teca nella sala baronale del castello. La presentazione del restauro poteva essere un’opportunità di approfondimento storico, artistico e religioso. Opportunità mancata.
Sabato 29 e domenica 30 settembre, festa di San Michele, è stato esposto presso la sala baronale del castello Orsini, lo stendardo restaurato della Confraternità del SS.mo Sacramento.
Erano quasi vent’anni che non lo si vedeva, da quando il tessuto in più parti molto consumato, i diversi strappi, i rammendi e i rinforzi fatti alla buona avevano convinto tutti a non portarlo più in processione per non peggiorare il suo stato.
Quindi l’occasione era ghiotta per rivedere e ripensare questo storico drappo. Occasione rimasta in parte delusa, anche se l’opera di restauro appare significativa. Lo stendardo è posto dentro un’enorme teca di ferro e cristallo che occupa tutta la parete a destra della porta di ingresso della sala baronale. Dei due lati è visibile quello con il SS.mo Sacramento che sovrasta San Michele Arcangelo nell’atto di colpire con la spada il diavolo schiacciato a terra sotto i suoi piedi.
La tela è stata rinforzata, disinfestata, pulita. Sono state tolte le parti posticce cucite negli ultimi due secoli, ritessute sapientemente le parti più danneggiate. In questo modo ha riacquisito un aspetto integro, decoroso, solenne.
La Confraternità del SS.mo Sacramento è l’associazione più antica presente a Castel Madama, infatti nel 2009 ha festeggiato i suoi quattro secoli di vita. Inoltre, come segnalava Flavia De Bellis nell’opuscolo sulla Confraternita da lei curato nel 2009 in occasione dei quattrocento anni di attività, da alcuni documenti dell’Archivio Storico di Castel Madama si evince che tale Confraternita già agiva prima della sua nascita ufficiale avvenuta il 29 aprile del 1609.
La Confraternita del SS.mo Sacramento di Castel Madama, che allora si chiamava ancora Castel Sant’Angelo Madama, si formò, quindi, nella seconda metà del XVI secolo in un contesto storico e religioso molto particolare.
Agli inizi del Cinquecento, vasti settori delle classi dirigenti e del popolo, soprattutto dei Paesi dell’Europa centrale e settentrionale, contestarono aspramente la vendita delle indulgenze e più in generale la degenerazione della Chiesa Cattolica Romana, entrarono in conflitto con essa e poi la abbandonarono, dando vita al movimento di riforma protestante.
La Chiesa Cattolica rispose con il Concilio di Trento, svoltosi tra il 1545 e il 1563 con l’obiettivo di riconfermare la dottrina cattolica, riorganizzare la chiesa, risvegliare le energie del mondo cattolico e impegnarle nella difesa della fede. A questo fine in tutte le diocesi venne stimolata la nascita di confraternite laiche finalizzate a rinvigorire le cerimonie di culto e le opere di carità.
I confratelli, tra l’altro, avevano l’obbligo di partecipare alle processioni vestiti con “la cappa” fermata dal cordone, coperta sulle spalle dalla “mozzetta”, con davanti la “braciola” e lo stemma della confraternita. Inoltre essi portavano in processione lo stendardo della Confraternita e, nella festa del patrono, la macchina processionale di San Michele Arcangelo.
Lo stendardo era un po’ la bandiera della Confraternità, a cui i suoi membri tenevano molto. Dai documenti d’archivio rintracciati dalla De Bellis nell’opuscolo citato, risulta che già nel 1618, nove anni dopo la sua costituzione ufficiale, lo stendardo “è tutto rotto, et non si può più portare”.
La Confraternita chiede un contributo al Consiglio della Comunità per realizzare un nuovo stendardo.
“La soluzione del problema si prolungherà però per decenni, scrive la De Bellis, a causa dell’impossibilità da parte della Comunità di erogare contributi e da parte della Confraternita di affrontare autonomamente la spesa”.
Nei verbali del Consigli della Comunità conservati nell’Archivio storico comunale, “si rintracciano infatti ripetute istanze, mai soddisfatte, nel 1620, nel 1644 e nel 1699; soltanto nel 1706 l’opera potrà essere eseguita grazie ad un contributo pubblico di 35 scudi sui 100 richiesti per il lavoro dal pittore Antonio Antolini”.
Eppure sullo stendardo appena restaurato si legge chiaramente la data “1796”, per cui si potrebbe dedurre: 1) che il dipinto sia stato effettivamente eseguito nel 1796 (e quindi non è quello citato dal documento ritrovato da Flavia De Bellis); oppure… 2) il dipinto è quello del 1706 e forse la data riportata si riferisce a un primo intervento di restauro. Questa seconda ipotesi potrebbe essere confermata dall'interpretazione dell'iscrizione che risulta ad occhio nudo non leggibile a causa del deterioramento del tessuto. Maggiori delucidazioni potrebbero essere fornite dai restauratori che hanno avuto modo di analizzare i tessuti e le iscrizioni da vicino e dalla Direttrice dei lavori che, presumibilmente, ha effettuato indagini storiche sul presunto autore.
In assenza di documentazione materiale o d'archivio, infatti, la possibile datazione e attribuzione può essere condotta sulla base di elementi stilistici e del confronto con opere dello stesso periodo.
Come si comprende da queste brevi note, il restauro dello stendardo della Confraternita poteva essere l’occasione per ricordare e riflettere su un pezzo di storia della nostra comunità importante e interessante. In questo senso dicevamo sopra, la presentazione di sabato 29 e domenica 30 è stata un’occasione in parte persa, perché il restauro è stato presentato senza dare ad esso un adeguato risalto e valore storico, religioso, artistico. Né è stato dato valore alle persone che sono state protagoniste del restauro. A cominciare da Piera Ferrazzi che negli anni ’90 propose all’amministrazione comunale in più occasioni un progetto che, infine, fu presentato al Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC) per la richiesta di finanziamento.
Il MIBAC, attraverso la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio, finanziò l'intervento divenendo Committente dei lavori di restauro. La Responsabile del Procedimento è la stessa Soprintendente, Dott.ssa Anna Imponente, mentre la Direttrice dei Lavori, che ha avviato e seguito l'intervento per la Soprintendenza, è la Dott.ssa Milvia D'Amadio, antropologa.
Per proseguire con gli amministratori comunali che se ne sono interessati: da Alfredo Scardala che ottenne il finanziamento per il restauro, ad Armando Pistoia che richiese quello per la teca. Per finire con le maestranze che hanno eseguito il restauro.
Nessuna di tali persone è stata coinvolta, né è stata curata l’informazione sullo stendardo e sul restauro con una mostra o con un opuscolo. Questo anche per il modo improvvisato, superficiale e autoreferenziale con cui è stata organizzata la presentazione del 29 settembre.
Tanti interrogativi dei cittadini presenti, quasi esclusivamente membri dell’una e dell’altra Confraternita non hanno trovato risposta: perché lo stendardo porta la data del 1796? Perché alcune parti sembrano più visibili sulle foto prima del restauro che adesso? Perché non è stato scelto un modo di conservazione ed esposizione che consenta di ammirare entrambe le facciate dello stendardo?
Il valore dell’opera e del restauro da una parte e la superficialità della sua presentazione dall’altra ci portano a proporre che, una volta ultimata la ristrutturazione del Castello Orsini, venga organizzata di nuovo una presentazione dello stendardo alla presenza della Soprintendenza ai Beni Artistici, Storici ed Etnoantropologici del Lazio, e di tutti i soggetti coinvolti nell’operazione culturale, in modo che si possa illustrare il restauro, approfondire il significato ed il valore dello stendardo processionale, ricostruire il ruolo e le funzioni delle Confraternite in una comunità rurale come quella di Castel Madama nel corso degli ultimi 400-450 anni.