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Piazza Garibaldi e ju Pulennone

Cleto. Castel Madama, 25 giugno 2013

La spinatora è la piazza e ju Pulennone è il giardino al centro. Infatti, a differenza della pulenna che si allarga con la cucchiara su tutta la superficie della spinatora, ju Pulennone si versa al centro della tavola e resta lì: una colata di polenta densa e dura, di forma circolare in mezzo alla spinatora.

Mi piace immaginare che a mettere questo nomignolo al giardino di piazza Garibaldi, quando fu realizzato nel 1928, fu nu zappatera affamato e buontempone. In quegli anni, tre su quattro abitanti di Castel Madama erano braccianti agricoli che non avevano terra di proprietà, ma andavano ‘nn opera, ossia lavoravano a giornata la terra dei pochi possidenti. E non tutti i giorni. Certo non se la passavano bene. Sono convinto che fu proprio uno di loro che, appoggiato alle ringhere alla fine di una giornata passata a digiunare lavorando, guardò il nuovo giardino rotondo ed ebbe una visione: si immaginò sdraiato in mezzo alla piazza, trasfigurata in un’enorme spinatora, con la bocca spalancata su ‘n montarozzu de pulenna: una mangiata pantagruelica, durata ore e ore, forse giorni, fino a quando sfinito, appasematu, ruttò e si addormentò.

Questa, però, non è l’unica somiglianza tra piazza Garibaldi e ju pulennone. Me ne viene in mente un'altra. Come ieri con la frasca si girava e rigirava la pulenna dentro ju sgommareju per non farla raggrumare e attaccare, così oggi noi giriamo e rigiriamo con le auto intorno a ju pulennone. Ma da questo moderno rimestare il più delle volte non esce niente di buono e bisogna andare a cercare un parcheggio da un’altra parte. Nella piazza pendente abbiamo comunque lasciato una miscela di rumore e smog, di confusione e puzzo inquinante. Piazza Garibaldi meriterebbe ben altro, visto lo scenario straordinario che ha intorno: la corte settecentesca su tre lati, l’arco d’accesso al borgo in basso, i palazzi dei signori che svettano a monte.

Sono otto mesi che metà piazza è chiusa per essere risistemata. Da due mesi i lavori sono fermi. Non si sa quando riprenderanno e quando termineranno. La ditta appaltatrice non va avanti perché il Comune non paga la parte dei lavori già fatti.
La piazza sicuramente andava sistemata e da ciò che si vede mi sembra che esca fuori migliore, sia nell’aspetto che nella funzionalità a favore del pedone (parere soggettivo).
Ma il popolo mormora, è frustrato, non sa dove sbattere la testa: i commercianti si lamentano, gli abitanti del borgo antico si lamentano, i piccioni della fontana di piazza Mazzini si lamentano, la Madama Margarita si lamenta e, tra un lamento e l’altro, l’anarchia automobilistica trionfa, il caos regna sovrano.

Ma quel popolo chiacchierone cosa fa oltre alle chiacchiere? Non mi sembra ci sia una sommossa. E’ così garbato che non sa imprecare più? Non sa più lanciare in aria una saetta che colga tizio, un fulmine caio? Almeno per riaprire quella mezza piazza fino a quando la matassa non sia sbrogliata e la frasca ne ju sgommareju torni a girare come prima, alimentando il solito inquinamento per la quiete di tutti.

Pino, il nostro Pino sindaco, era un buon parafulmine: li chiappava tutti e con garbo rispondeva, discuteva, insisteva, con pazienza professionale spiegava anche agli asini, continuava a programmare, cercava un’alternativa, stando in mezzo alla gente, mettendoci il suo faccione. Vi ricordate l’esperimento del senso unico in via Marconi, che alzò una canizza? O il tentativo di divieto di parcheggio in piazza e di traffico limitato ai residenti almeno un dì a settimana, quando si va a messa, ce se sposa, il giorno della prima comunione e delle cresime, almeno nei giorni delle feste popolari! Io me le ricordo le assemblee, e forse erano anche troppe, e su tutto. Le assemblee a Piazza Mazzini, al Castello Orsini, all’Aula consiliare per concordare con i cittadini una misura giusta, cercare una via, provare a pensare pedonale, per stare meglio, per dare un’immagine decente del quartiere antico, per un vivere ordinato, a misura di chi ci abita e di chi ci cammina, a misura della nostra storia e del presente. Almeno per mezza giornata, almeno la dì de festa. Invece niente! Qualsiasi cosa si pensasse o facesse, non andava bene.

Ascoltate voi che l’auto sotto casa è troppo comoda; voi che come si fa ad andarci senza macchina al tabaccaio, alla posta, al medico, in birreria, a farsi una bevuta alla cantina a via Fore; voi che il giro allo Stallone era troppo lungo; voi che per partito preso, per piacere della canizza, per la nonna che sta sola nel vicolo e che magari potesse deambulare sai le passeggiate che farebbe! A tutti voi, a cui il camminare fa male, dico: riflettete! E lo dico non per il piacere di rompere i coglioni, che pure fra un’incudine e un martello quelli di qualcuno ce li metterei. Se le auto piantate nel culo come emorroidi sono per voi così indolori, forse vuol dire che i disagi da esse provocati, assunti a piccole dosi quotidiane, vi hanno avvelenato il corpo tanto da non sentire più dolore. Se così è, non incancrenite e rovinate la vita anche agli altri. Anzi cercate di curarlo ‘sto avvelenamento: tornate a camminare, usate le gambe e sarete presto liberi da ogni turbamento psicofisico.

Il borgo antico, il centro storico, ha bisogno anch’esso di essere disintossicato. Dovremmo avere rispetto e farlo bello, accogliente, è stato l’utero sociale delle generazioni fino agli anni ‘60. In quelle case, fra i vicoli e nelle piazzette siamo nati e cresciuti. Oggi, noi che ci abitiamo, soffriamo i tubi di scappamento, le merde dei cani non raccolte dai padroni, la parietaria, il “faccio come me pare tantu sto a casema”, il “butto giù il paletto dissuasore così ci entro con la mia emorroide”, il “me frego il posto del diversamente abile”, il gusto dell’orrido nelle ristrutturazioni, la fontana di Piazza Mazzini senza manutenzione e che non piscia perché inquinata dai piccioni, la pineta che frana, le tubature dell’acqua che scoppiano, la fontana a pulsante sparita e che ora è tornata al suo posto, i parcheggi che sono un orizzonte lontano, i ladri, gli incendiari del nuovo pub (ai gestori va tutta la solidarietà), la monnezza di casa nei cestini delle strade, i sampietrini di via Aniene che non reggono più il peso dei decenni, quelli delle strade risistemate e già sconnesse. Insomma, soffriamo tutto!

Attorno a questo pullennone, giri o non giri, cresce una “ignoranza” che giustifica il ricorso alla “legge del più forte”. Il senso civico, che la scuola cerca di insegnare, qui un ragazzo lo deve perdere se vuole acquisire la patente dell’adulto. Poi se in casa c’è il mito dell’emorroide è fregato in partenza. E di questi tempi un auto per adulto farebbe sanguinare… vi lascio immaginare cosa. Che possiamo fare noi che non ci arrendiamo a questo stato di cose, che consideriamo “l’educazione” e “il rispetto” il fondamento della vita, come l’onorare il padre e la madre? Noi che riteniamo il vivere sociale nello sport, nella danza, nella musica, nel volontariato, nell’escursionismo e così via una scuola complementare alla scuola, un’alternativa all’apatia e all’immobilismo? Noi che siamo costretti a presentare le nostre attività ai bordi del paese, fuori mano, invece di essere tra le case, nel cuore urbano che è la piazza, per occuparla diversamente e magari, sì, dare una mano a quell’economia che vive di un caffè, di una birra e un panino, di un poco di frutta fresca?
Apriamo i recinti, riprendiamoci gli spazi con le nostre fantasie, non ci avveleniamo con le auto e i parcheggi che comunque sono una miseria e non bastano mai.

In questa azione siamo soli. Gli amministratori comunali non hanno mostrato decenza e sensibilità. Non hanno promosso azioni “civilizzanti”, che ci aiutino a stare insieme, a vivere il paese; né campagne di sensibilizzazione, in controtendenza, per limitare l’uso delle auto, che ci ricordino che nel bene comune c’è la qualità della vita in tutti i suoi aspetti, ed è l’unica cosa che ci salva dal soffocamento e dallo stress.
Vi ricordate l’anno scorso “I Love Comico”? Un bilancio di quel mese di risate i nostri amministratori non ce l’hanno fatto, o forse mi è sfuggito. Comunque sia, è stato un esempio negativo, il contrario dei principi sociali della festa. E’ stato una indigestione di proposte tese a delocalizzare la vita, a rinchiuderla in spazi di confine, a impacchettarla in luoghi deserti, dove va bene un “cava parti”, una nottata da sballo in senso buono. E’ stata un’operazione che ha spazzato via tutto, che ha evitato le connessioni con il paese, la sua storia e non solo… anche con l’economia.
Vi ricordate la “Sagra della Pera” dello scorso anno? L’immagine di quel plotoncino di frutta buttato per le scale dei Collicelli che neanche ai porci… E le donne che “co’ jo vustu e ju varneju se gireanu tutto casteju” è solo folklore per una cartolina dal titolo “Castel Madama sparita”?

Non mi aspetto che questi amministratori cambino. Mi auguro che la collettività – singoli cittadini, associazioni, operatori economici, chiese e confraternite, migranti e apparati della sicurezza e dell’ordine pubblico - torni a servire e a servirsi del paese per fare festa, per andare a messa, dal medico, alla posta, al bar, rigenerando un tempo psico-fisico giusto, il vivere senza stress: uscire e divertirsi, incontrarsi e chiacchierare di politica, di sport, di donne e uomini, sballare di aria e di stelle, di pizza e birra, di gelato, di musica, di cinema, di teatro e di ballo. Tranquilli e in santa pace, un passo dietro l’altro. Almeno “la dì de festa”.

 
 
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