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La vostra compagnia Arte e Cultura Abusiva è nata nel 1986 per conservare e promuovere la cultura e le tradizioni popolari mandelesi. Del nome prescelto ci ha colpito l'appellativo di "Abusiva"..., quasi che il vostro fosse un ingresso in punta di piedi nel mondo della cultura. 25 anni dopo (ed oltre 14 opere rappresentate) viene da esclamare "Meno male che ci siete anche voi!"
Diciamo che il gruppo che si è consolidato in questi ultimi sei anni, anche grazie alla costituzione in Organizzazione di Volontariato, eredita attività estemporanee di molti anni indietro. Sarebbe quindi più corretto parlare di vero e proprio gruppo teatrale a partire dalla fine degli anni novanta, anche se ancora oggi registriamo la presenza di alcuni pionieri. Per quanto riguarda l’appellativo di “Abusiva”, questo è da collegare sopratutto allo spirito goliardico di Mario Lori, scrittore dei testi in dialetto, che l’ha creato. Attualmente l’appellativo è da considerare come attenzione e rispetto per chi, impegnato nelle varie discipline culturali, riesce, spesso a fronte di studio, dedizione e grandi sacrifici, a realizzare lavori di alta qualità per forme e contenuti. Noi è vero facciamo del nostro meglio, ma riconosciamo i nostri limiti e restiamo a rispettosa distanza.
Domenica 30 gennaio siete stati graditi ospiti del piccolo teatro comunale della nostra cittadina ed in omaggio al giorno della memoria avete portato in scena un opera di adattamento teatrale intitolata "Ai gradoni del ponte sul fiume", una prova (come voi stessi l'avete definita) difficile per una compagnia teatrale che fa del dialetto il suo strumento principale. La prova sembra superata brillantemente o sbaglio?
Alla fine di ogni rappresentazione circola una domanda collettiva spesso manifestata con l’intensità di uno sguardo rivolto a chi ha compiti di regia: “Come è andata?”.
E tutti già sanno che la risposta è sempre la stessa: potevamo fare meglio!
Comunque alla fine resta importante il giudizio del pubblico, e fino ad oggi, compresa la rappresentazione in questione, abbiamo ricevuto più apprezzamenti che critiche.
Dopo "gl'ursu panaru" (che ha incontrato grande successo di pubblico con diverse repliche) e l'ultimo appuntamento di domenica scorsa siete diventati più conosciuti di molte associazioni locali. Da (graditissimi) ospiti siete in breve diventati uno dei soggetti artefici della vita culturale del nostro paese. Come vi siete trovati a Castel Madama? Avete trovato interlocutori propositivi? Siete soddisfatti della risposta del pubblico e dei commenti ricevuti?
Siamo sicuramente uno dei pochi gruppi, nella valle dell’Aniene, che rischia il salto lontano da luoghi protetti come può essere il contesto del proprio paese. Quindi cerchiamo di portare ovunque i nostri lavori. A Castel Madama in questi due ultimi anni ci sono state date delle possibilità e noi le abbiamo sfruttate. Dire poi che siamo diventati artefici della vita culturale del paese ci sembra troppo, per questo pensiamo che meritano più credito le associazioni di Castel Madama.
Ci siamo senz’altro trovati bene e ci ha favorevolmente colpito l’attenzione e la passione che il gruppo teatrale di Castel Madama “Quelli che continuano” mette nella gestione dello spazio teatrale a loro assegnato. E da loro abbiamo sempre ricevuto molta disponibilità e cortesia.
Dobbiamo anche rilevare la cortesia e la sensibilità dimostrata da Pino Salinetti sia in qualità di sindaco di Castel Madama che di presidente dell’associazione Rete per la Storia e la Memoria della Resistenza nella Valle dell’Aniene.
Come detto, anche da parte del pubblico di Castel Madama abbiamo ricevuto molti apprezzamenti, e siamo contenti per questo.
Quanto è difficile ripetersi? Quanto lavoro c'è dietro ogni opera? Pochi sanno che oltre alla rappresentazione teatrale state portando avanti anche altri meritori progetti. Ce ne volete parlare?
Per quanto riguarda il lavoro che c’è dietro, ce n’è tanto ed è giusto che sia così.
In seconda battuta la difficoltà non sta tanto nel sapersi ripetere, ma nel mantenersi in piedi.
Certamente questo non è un argomento pertinente alla domanda, ma vale la pena soffermarsi un po’.
Esperienze come la nostra spesso sono legate ad un filo che può rompersi in ogni momento.
Innanzitutto l’incertezza di prospettiva dovendo affrontare spesso una serie di carenze oggettive quali la mancanza di spazi, l’assenza di un circuito -istituzionale o meno- che possa permettere la circolazione dei lavori realizzati, la permeabilità dei referenti istituzionali alle logiche clientelari, tanto da vanificare ogni sforzo teso alla elaborazione di progetti meritevoli di attenzione.
In secondo luogo, giocano un ruolo anche limiti soggettivi riconducibili alle difficoltà di mantenere nel tempo un impegno costante, o comunque un impegno; al venire meno della consapevolezza d’essere protagonisti di un percorso di promozione sociale e culturale utile anche alla collettività.
Relativamente ai citati meritori progetti, questi sono conseguenza di un percorso intrapreso in questi ultimi tre anni che pone al centro dell’attenzione una serie di azioni utili all’ampliamento dei partecipanti all’esperienza, puntando soprattutto sulle giovani e giovanissime leve.
Lo abbiamo fatto assegnando a diversi bambini e bambine dei ruoli all’interno dei nostri lavori teatrali, e realizzando dei laboratori di teatro e musica (con collaboratori qualificati) anche all’interno del plesso scolastico di Mandela.
Dopo avervi visto sul palco alcuni, spinti anche dalla curiosità, hanno riscoperto il vostro territorio, le bellezze del vostro paese, l'accoglienza e la cordialità della vostra gente. Ora però i nostri lettori sono curiosi di sapere che cosa bolle in pentola. Ci potete anticipare le rappresentazioni che metterete in scena nel prossimo futuro? Possiamo sperare nella riedizioni dei vostri lavori in dialetto come "a mola e ju marchese", "pò esse" o "i promessi sposi"?
Con ogni probabilità verrà approntata l’elaborazione di un nuovo lavoro, ma ancora è presto per dire di cosa tratterà, sceneggiatura e testi come di consueto saranno nuovi ed originali.
Sulle riedizioni c’è sempre stato un vivace dibattito all’interno del gruppo. Più d’uno a scadenze costanti lancia l’idea di riprendere e mettere in scena vecchi lavori, dando così vita ad un vivace dibattito. A questo richiamo chi cura la regia mostra scarsa sensibilità valutando che ogni lavoro è figlio del suo tempo e le capacità attuali, nella media, del gruppo, reclamano impegni diversi a quelli di qualche hanno fa. L’unica eccezione riconosciuta è quella relativa al lavoro “Po’ esse” del 2004, che in assoluto risulta il lavoro più completo (per trama, per contenuti, per interpretazione) fino ad oggi realizzato dalla compagnia.
14 febbraio 2011