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Questi giorni di forti emozioni come solo possono darne la vita e la morte, l'odio e l'amore, l'amicizia e l'avversione. Giorni di incontri con nuovi adulti e giovani, e con aspetti nuovi di persone note. Giorni in cui il mondo rallenta ed è meno rumoroso; giorni in cui stranamente gli occhi vedono di più, le orecchie percepiscono anche esili suoni, la voce è smorzata, il cuore è più sensibile alle emozioni.
In questi giorni ho cercato di dare un contributo a tenere insieme il mio paese, a ridurre le lacerazioni, a costruire ponti, a non semplificare, a non esagerare, a non nascondere, a non fare i processi in piazza.
Ho guardato tanti occhi umidi e ascoltato tante voci rotte.
Ho conosciuto ragazzi e adulti che fino a pochi giorni fa erano amici e conoscenti dell'uno e degli altri. E in essi mi sono immedesimato. E ho cercato di capire il loro spaesamento, la loro confusione, i loro laceranti interrogativi, la loro mancanza di risposte, il loro fallimento. In loro ho visto le persone con meno certezze e con più dubbi, le persone più in crisi, più in difficoltà. Le persone più pacate, quelle che hanno infierito meno verso gli altri o e che più cercano dentro di sé le ragioni di una sconfitta e per questo vogliono dimettersi...
Anch'io vorrei parlare sottovoce, se proprio devo parlare, per dire innanzitutto che la vita di una persona, la vita del giovane Stefano non c'è più, e questo è un fatto gravissimo, il più grave e ingiustificabile che ci sia. I giovani aggressori che hanno tolto la vita ne devono rendere conto, devono essere richiamati alla responsabilità personale verso le conseguenze delle loro azioni.
Poi ci sono gli amici, forse prima delle loro famiglie; poi gli altri ragazzi, le altre famiglie; poi gli insegnanti, gli animatori delle associazioni, dei partiti, i parroci, gli amministratori, il sindaco. Poi ci sono gli adulti che non sono niente di tutto questo; poi ci sono le televisioni, internet, i telefonini; poi le leggi sulla scuola, sul precariato, sulle armi poi un mondo globalizzato dove agiscono forze economiche che tendono più a piegare le persone e la natura ai propri fini, piuttosto che sostenerle ad essere più felici, più libere, più rispettata.
L'aggressione violenta e la morte di Stefano chiama in causa tutto questo. È una vicenda complessa perché numerosi fattori interagiscono tra loro nel trasformare alcuni diciannovenni apparentemente "normali", di famiglie stimate e impegnate in vario modo nella società locale, in aggressori violenti e omicidi, incapaci di controllare le proprie emozioni e di orientare i propri comportamenti secondo una scala di valori positivi.
Noi, forse non possiamo agire su tutti i fattori in gioco, ma su molti sì.
L'aggressione violenta e la morte di Stefano segnala che Castel Madama è una comunità in pericolo: sono in pericolo i giovani, le famiglie e le diverse istituzioni.
Dobbiamo quindi, innanzitutto dichiarare lo stato di crisi.
Poi evitare di pensare che esista una sola causa, evitare di ridurre la complessità e semplificare: è un problema solo di controllo del territorio; solo di droga; solo di famiglie inadeguate; solo di una scuola che non riesce più a parlare al cuore e alla mente dei ragazzi; solo di un comune indifferente ai problemi dei giovani. Non possiamo scaricare le responsabilità soltanto all'esterno o soltanto ad alcuni: siamo chiamati in causa tutti.
Nemmeno dobbiamo considerare tutto sbagliato e ripartire da zero: ci sono a Castel Madama risorse ed esperienze positive da valorizzare; dobbiamo distinguere con attenzione gli aspetti critici da affrontare e i punti di forza da utilizzare.
Infine, penso che alla base di tutto ci debba essere un'assunzione di responsabilità personale e collettiva per mandare meglio le cose. Ognuno deve domandarsi se è sempre un modello positivo per gli altri: in famiglia e nella società (quando lavora, quando guida, quando cammina, quando compra, quando partecipa o non partecipa alla vita pubblica).
Pino