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Banda musicale Giuseppe Verdi
Fare musica insieme è una specie di magia, che dà una felicità immensa.

Intervista alla prof.ssa Tiziana Civita Acanfora, insegnante di pianoforte nelle classi musicali della Scuola media di Castel Madama, e direttrice della rinata orchestra Giuseppe Verdi.
A cura di Angelo Moreschini, 2011

Come nasce la passione per la musica?
L’amore per la musica nasce in primo luogo dall’ascolto. L’ascolto spinge ad avvicinarsi alla musica e resta fondamentale anche dopo, quando si suona. Infatti, tutto ciò che si produce suonando deve essere ascoltato. Penso che, più in generale, l’ascolto sia un’attività che nelle persone andrebbe maggiormente incoraggiata: ascoltare ed ascoltarsi è molto importante nella vita. Per questo la musica può insegnare molto. Nel momento in cui si suona qualcosa è fondamentale, in quello stesso momento, avere il controllo di ciò che si sta producendo. La musica, sotto questo aspetto, è diversa dalla scrittura, dal disegno, dalla pittura, dove puoi fermarti e magari correggere ciò che stai facendo.
L’ascolto è un aspetto formante della musica, si pratica in tutte le attività correlate alla musica. Attraverso l’ascolto, ad esempio, si coordina la musica d’insieme e si cerca l’equilibrio tra i diversi elementi, cercando di realizzare l’arrangiamento più adatto. La musica è un linguaggio che comunica attraverso vari livelli, immediati e strutturati, e quindi non c’è bisogno di conoscerla per ascoltarla, ma se la si conosce si può apprezzare diversamente.

Che genere di musica ascolta più volentieri?
Il tipo di musica che si preferisce ascoltare fa parte di un discorso molto ampio. A mio avviso non ci sono generi musicali migliori di altri, ma qualità diverse di musica. Penso che nell’ambito della musica classica ci siano cose grandiose, ma anche cose di minore qualità, inferiori a certe canzoni di musica leggera o a capolavori del rock o del jazz che restano nella storia.

Quali esperienze ha nella direzione di gruppi musicali?
Ho fatto il percorso canonico per imparare a dirigere, anche se esperienze di direzione bandistica non ne ho mai avute, questa è la prima volta ed è una bella prova.
Del resto il mio rapporto con la musica è stato per molti anni legato ad uno strumento, lo strumento solista per eccellenza: il pianoforte. Di conseguenza anche la mia formazione è stata prettamente individuale, ho preparato in genere repertori per concerti e per concorsi da solista e poche volte mi è capitato di suonare in duo.
Sono convinta però che l’aspetto migliore della musica si colga quando si riesce a realizzare qualcosa insieme ad altre persone, qualcosa dove ciascuno trova un proprio ruolo.
Altre volte ho provato a mettere insieme un gruppo strumentale di vario genere, ma sempre attraverso canali professionali, ossia con musicisti diplomati. Succede però che chi ha investito molto nella propria formazione vuole ottenere dei risultati concreti immediatamente, così nessuno gioca a vedere cosa succede. Tra i professionisti non c’è lo stesso spirito che trovi tra chi si diletta a suonare: solo tra i dilettanti, appunto, ho scoperto un vero e proprio entusiasmo nel fare musica.

Come nasce il suo impegno con la banda musicale di Castel Madama?
Premetto che è la prima volta che mi capita di realizzare un’idea così rapidamente. Ho conosciuto l’allora sindaco Pino Salinetti al primo Collegio docenti che ho fatto a Castel Madama due anni fa. Mi ha raccontato che a Castel Madama per molti decenni aveva suonato una banda musicale, un’esperienza molto bella sia per i musicisti che per l’intera comunità, ma che purtroppo ora non c’era più. Mi ha detto che alcune persone stavano cercando di rimetterla in piedi, così gli ho chiesto se conosceva qualcuno di loro. Pino mi ha fatto incontrare con Francesco Iori e da lì è partito tutto.
All’inizio è stato un po’ rocambolesco: una situazione nuova, molto fluida, dove c’era chi si affacciava poi andava via. Mettere insieme i pochi e alterni elementi non era facile né gratificante per il gruppo. Finché abbiamo pensato di preparare un concerto, Evergreen, e il fatto di lavorare su un appuntamento concreto ha motivato e rafforzato il gruppo.
Dalle impressioni raccolte tra i componenti della banda, emerge che la sua professionalità e la sua coinvolgente passione hanno contribuito molto alla crescita ed al consolidamento del gruppo musicale, di cui lei sembra essere l’anima.
All’inizio sentivo che stavo per prendermi una grande responsabilità e mi sarebbe dispiaciuto molto mollare. Allora ho insistito, tutti abbiamo insistito. Poi loro sono un gruppo di persone variegato, personalità diversissime che non sembra possano avere interessi comuni. Invece la magia della musica li mette insieme, fa trovare loro un punto d’incontro e diventano tutti alleati. Fare le prove con loro è divertente, a volte sembrano dei bambini, quando mi guardano smarriti come per dire: “Cosa dobbiamo fare?”. Ciascuno di loro è importante nel gruppo, direi necessario, perché è dall’insieme che scaturisce l’energia giusta.

Quali potrebbero essere le prospettive per la banda Giuseppe Verdi?
Il repertorio che abbiamo scelto fino ad ora in qualche modo ci caratterizza come jazz band, sulle orme della precedente band diretta dal maestro Ticconi, che è stato per loro un vero punto di riferimento. Ora, devo dire, man mano che andiamo avanti il confronto col mio predecessore è sempre meno frequente e questo mi rende orgogliosa. Per il futuro l’idea potrebbe essere quella di creare spettacoli più articolati, combinare tra loro di volta in volta solo alcuni strumenti, inserire le tastiere. Una collaborazione importante l’abbiamo già con la voce di Charlie Cannon. L’obiettivo che ci poniamo è riuscire ad essere non solo territoriali ma stabilire dei ponti, delle collaborazioni con realtà più lontane. La speranza comunque è che si aggiungano altri elementi così da rendere l’organico più ricco e completo.
Il progetto più bello e ambizioso, secondo me, è quello di crescere fino a dare vita ad una scuola di musica. La scuola italiana, nonostante la felice introduzione delle classi musicali nella scuola media, dovrebbe poter offrire a tutti gli studenti la possibilità di avvicinarsi di più alla musica. Al di là del futuro che ciascuno di essi percorrerà, la musica – come dicevo all’inizio - è uno strumento importante di ascolto, di comunicazione, di espressione e quindi di crescita della personalità. E’ un linguaggio e come tale sviluppa, in chi la studia, le capacità di analisi, sintesi e memoria, nonché la coordinazione muscolare motoria e ritmica.
L’educazione alla musica, con le due ore settimanali classiche, alle quali si aggiungono, per le classi indirizzo musicale, le due ore pomeridiane settimanali di strumento, resta un insegnamento marginale rispetto alle altre discipline. Gli alunni dovrebbero essere seguiti di più, coltivando le eventuali propensioni e dando loro più tempo per studiare. Manca poi il segmento successivo alla scuola media, quello che precede il Conservatorio. Esiste già un Liceo Musicale, dove, oltre allo strumento, si svolgono diverse attività musicali anche la mattina. Di queste istituzioni ne esistono pochissime in tutta Italia, in genere nei centri metropolitani più importanti. In tutta Roma ce n’è uno solo.
Purtroppo in Italia esiste l’idea di insegnare la musica solo ai fini di uno sbocco professionale. Non c’è l’idea di insegnare la musica per dotare le persone di un altro linguaggio: s’impara l’italiano poi si parla; s’impara la musica nei primi anni di scuola e poi spesso non si usa più nella vita, si dimentica. Questo a mio avviso succede anche per la pittura e per tutti i linguaggi non verbali.
Non dico che sia necessario suonare Beethoven, ma è importante disporre di questo canale espressivo per comunicare. L’esempio della banda musicale è chiaro: la musica riflette la sua positività e diventa una cosa importante perché unisce le persone. Purtroppo in questo paese si valuta come positivo soltanto ciò che è materializzabile; non si considera l’importanza dell’ascolto e dell’espressività, della condivisione di momenti, di spazi, di emozioni.

In una piccola comunità come Castel Madama è stato più facile creare qualcosa in tal senso?
Insegno a Castel Madama per il secondo anno consecutivo. Fino all’anno scorso venivo due volte a settimana, ora sono qui cinque giorni su sette. Viaggio tutti i giorni da Roma, ma non mi pesa. Questo paese mi ha fatto da subito un’ottima impressione: i ragazzi hanno tutti un’attività pomeridiana, fanno sport, hanno la campagna, hanno un rapporto immediato con la vita e, quindi, non subiscono l’influenza di modelli precostituiti. I miei alunni sono molto autentici, non cercano un modello cui conformarsi, questo li rende più autentici, più liberi e penso che saranno facilitati nel realizzare se stessi.
Inoltre i genitori sono disponibili a parlare, si può collaborare, non c’è ostilità. Tutto ciò fa di Castello un posto accogliente, dove non si è perso il rapporto con la realtà e con le persone. Per cui… adottatemi!

 
 
 
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